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Pnün la rinascita di una tradizione dal 1681

Ci sono tradizioni lunghissime che nei tempi moderni rischiano di sparire. Così a Levaldigi, frazione di Savigliano (Cuneo) gli antichi forni si sono spenti e la ricetta dei Pnün rischiava di diventare un ricordo se non fosse per due giovani (Elena ed Elvis) che con "Piasì" ritornano a fare profumare le strade del borgo con le loro infornate, perchè questa è la storia di un un forno che si rieccende e con esso 300 anni di tradizione.

Noi di Io Vivo Italia sosteniamo questo progetto di "rinascita" offrendo nei nostri viaggi ed iniziative i Pnün come benvenuto denso di significato, perchè l'Italia che desideriamo valorizzare è fatta di persone che quotidianamente difendono un patrimonio millenario e genuino.

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La Bussola
Giorgio Baravalle

Iniziamo subito con breve video, dove incontriamo e vi presentiamo i Pnün e Piasì; un nuovo capitolo della storia di questo biscotto si sta scrivendo ed a noi piace l'idea di dare un contributo con queste parole ed invitandovi a provarlo.

Il Pnün sotto forma di racconto...

Potremmo scrivere un sempice articolo per testimoniare la storia, l'attaccamento e la tradizione di un biscotto che pochi conoscono, noi abbiamo scelto di recuperare questo racconto scritto da Vittorino Cravero (un locals come direbbero oggi, molto orgoglioso delle sue origini) alcuni annni fa quando sull'onda delle Olimpiadi di Torino 2006, il Pnün divenne una De.Co. (Denominazione comunale) e fu presentato alla stampa nazionale ed internazionale. Da allora purtroppo qualche difficoltà c'è stata, ma ora un nuovo futuro potrebbe dare la speranza di continuare a gustare queste prelibatezze.

I Pnün tra storia e leggenda

scritto da Vittorino Cravero.

Sono stanco di cliccare... ciattare...navigare...stacco il computer... per questa ricerca devo consultare la mia vecchia enciclopedia. Prendo matita e notes, indosso la giacca ed esco di casa.

Mi siedo su di una panchina in piazza, guardo il cielo particolarmente azzurro di questo pomeriggio di fine aprile e aspetto. Dopo alcuni minuti ecco che spunta dall'angolo della strada un vecchietto, piccolo, ricurvo, con in testa un cappello sgualcito e sulla punta del naso un paio di grossi occhiali da sole che si appoggiano su un paio di baffoni bianchi, indossa una giacca anni cinquanta e nei piedi un paio di scarpe di tela particolarmente grosse, cammina lentamente appoggiandosi a due bastoni. Quando è in prossimità della panchina alza la testa e da una feritoia tra la tesa del cappello e la parte superiore degli occhialoni spuntano due occhietti azzurri, vispi, maliziosi che si muovono a scatto per guardare di qua e di là. Con un bastone tasta il terreno, tocca il legno della panchina per accertarsi che sia libera per sedersi (ci vede benissimo). Il bastone tocca le mie gambe, lui si arresta, mi fissa poi mormora: "Ah sei tu... fammi posto."

Si siede adagio adagio sospirando, guarda il cielo, fa un lungo respiro come per assaporare l'aria fresca. Inizia:

"Mi ricorda la primavera del 20, avevo sei anni, facevo il segretario a Ghitin..., dovevo amministrare quattro galline, un'oca e una scrofa... il "mal rosso" si portò via la scrofa e io ci rimisi l'onorario... la risuolatura degli zoccoli. Ti ho mai raccontato di quella volta che."

 Prima di fargli delle domande devo subirmi il ripasso di tutte le sue attività passate che furono tante. Pinu, la mia enciclopedia, è forse l'ultima macchietta esistente nel raggio di chilometri. Per tutta la vita si è barcamenato tra lavori saltuari come bracciante o giornaliero di campagna. Però lui si autodefiniva "segretario libero professionista" perché prestava la sua opera nelle cascine solo per alcuni giorni per evitare di affezionarsi e perdere la sua libertà e la salute... Solo una volta rimase per quindici giorni in un posto e quando si licenziò si era già affezionato e si buscò la "gastrica" (gastrite) e ne soffre ancor oggi. Nei mesi invernali sovente amministrava anche qualche pollaio...

Durante la guerra fece servizio sedentario come attendente e contemporaneamente amministrava la cantina del "Leon d'Oro". Visse attivamente la resistenza come addetto al vettovagliamento dei partigiani. Conosceva tutti, sapeva tutto di tutti, affari, debiti, crediti, età, nascite, morti, disgrazie e fortune, corna, menopause e mestruazioni. Ormai da quando lo Stato, riconoscente dell'attività svolta gli ha riconosciuto la pensione sociale per meriti (afferma lui) ha cessato ogni attività per godersi il meritato riposo. Il giorno che gli annunciarono il pensionamento stava potando un roseto al parroco, alzò la testa, si fece ripetere la notizia, posò le forbici, si aggiustò il cappello, salutò e se ne andò. Non terminò la potatura perché ormai era in pensione e non poteva più lavorare. Mentre mi ripassa la sua vita tira fuori di tasca una pasticca medicamentosa, lo guardo e lui..: "È per la gastrica, me le ha ordinate la dottoressa...non è che ne avessi bisogno, ma sai quando vado a farmi visitare devo pur dirgli che ho qualche disturbo. lo stò bene, ma alla mia età devo stare sotto controllo... poi la dottoressa è brava ed è molto bella... un "bumbunin" (dolcetto)". Prendo la palla al balzo:

"Approposito di bonbon cosa sai dirmi sui Pnün?" "Pnün! Cosa vuoi sapere sui Pnün?" mi domanda esterefatto. "Tutto quello che sai" rispondo. Annusa l'aria, scuote la testa...

"Oggi non li hanno fatti... non si sentono... Parin Colonna li faceva più scuri, quelli di Martina erano più pallidi, ma entrambi buoni. Quando Parin andava a bagnare il "pnass" (uno scopone dal manico lungo che serviva per pulire il forno) nella "bealera" del mulino sul ponte per Fossano lasciava una scia..." sbatte la lingua contro il palato e deglutisce saliva come se li assaporasse, poi continua "Comoglio, Revelli e Colombano... non so... forse li cuocevano soltanto...sai le "masuere' (massaie) le facevano loro, ma non avevano il forno e li portavano a cuocere dai panettieri."

"Allora vado da Stefanino a farmi raccontare la storia" gli dico.

 

"Aspetta... lo sai che per i Pnün Madama Pitansin a momenti bisticciava con buonanima di mia madre... morta nel 41..faceva freddo... mi diedero un mese di licenza. Come li dicevo Madama Pitansin aveva l'anima per traverso a causa del marito Barba Domino non so per quale motivo...aspetta aspetta ora ricordo: Barba voleva ingrassare i conigli con acqua e ossigeno come fossero piante. Aveva fatto dei fori nel soffitto della stalla per far passare l'ossigeno lavorando una settimana con martello e scalpello; poi mise i conigli, ciotole d'acqua e attese... sette giorni dopo le bestiole erano morte di fame... l'esperimento non era completamente riuscito.

No, forse era quella volta che aveva piantato una pompa per irrigare l'orto e trovando l'acqua fresca e chiara ne mandò due bottiglie ben tappate con cera lacca al Duce o al Re etichettandole pomposamente come "acqua della lunga vita della Priglia" (la Priglia era una palude)... non ricevette mai una risposta. Comunque sia Madama Pitansin era intransigente in fatto di ricette. Mia madre si era permessa di aggiungere delle nocciole tostate nell'impasto dei pnün... che scenata!

"Vanno bene per Tuia (Vittoria) che li mette nel marsala per colazione" urlava "nei veri Pnün si mettono le mandorle di pesca dei "persi patanù" (specie di pesche nettarine) che son più aromatiche"

"Ma la storia la sai?" lo interrompo.

"La storia...la storia è un segreto" dice guardandomi intensamente "ma a tè lo svelo. I pnün sono i pennoni che si innalzavano nei giorni delle grandi feste... ma quelle veramente grandi.... Qualcuno invece asserisce che sono la coda del maiale, altri quella del passero... quel geometra che andava a fare gli estimi nelle cascine, te lo ricordi?

Beh, una volta quando era già anzianotto, salendo ansimando per andare sul fienile a stimare il foraggio, si volse alla bella margara che gli teneva la scala dicendo:

"Madamin, questo non mi capitava quando mi veniva ancora il «pnün dur»" (qui non c'è bisogno di traduzione)... per lui erano altro... Comunque sono i pennoni. Nella primavera del 1681 la gente si preparava a ricevere le reliquie dei Corpi dei Santi che il vescovo di Fossano aveva eletto patroni del paese; puliva le case, le stra-de, le piazze, piantava ai lati della strada per Fossano, in questa piazza e in quella davanti alla Chiesa dei lunghi pali, ai quali sarebbero stati fissati dei pennoni, rossi, verdi, azzurri, bianchi... di tutti i colori. 

Tutte le famiglie nobile e ricche facevano a gara per abbellire le facciate delle case con drappi, fiori ecc... proprio lì o forse là (indicando con il bastone delle case che si affacciano sulla piazza) c'era un forno gestito da un certo Petu... nò, no... forse Notu... non mi ricordo bene il nome sai, io non ero ancora nato, ma mi pare Notu. Notu seguiva, seduto davanti al suo forno il via vai della gente indaffarata a "imbagaghe" (addobbare), era pensieroso, cercava un'idea per contribuire ai festeggiamenti. Pensa... pensa, ad un certo punto si alza di scatto, si chiude nel pastino e vi rimane fino al mattino seguente... tutta la notte a trafficare. Al mattino dopo, finita la cottura del pane, pose nel forno ancora caldo un impasto speciale. Dalla bottega incominciò ad uscire un profumo intenso, buono, piacevole... la gente sulla piazza si fermò, alzò il capo, annusò l'aria. A gruppetti si avvicinarono al forno incuriositi. Notu uscì dal pastino con un vassoio colmo di paste, guardò tutti e con una punta di orgoglio disse: "questi sono i miei pnün". Lavorò intensamente una settimana per fornire il paese delle "paste dei Corpi Santi"

Adesso sai come sono nati i pnün detti anche "paste dei Corpi Santi". Certamente non erano come quelle di adesso perché non c'era lo zucchero e si usava il miele."

Fa un lungo sospiro poi continua: "Secondo mè chi ha inventato i pnün come sono fatti ancora oggi è stata Giovanna Fissolo, la bis nonna di Stefanin Colonna nata nel 1823; il padre, fornaio, suo malgrado dovette seguire Napoleone nelle ultime disastrose campagne, ma riuscì a riportare la pelle a Levaldigi e riprese a fare il panettiere. Giovanna imparò il mestiere e presto lo sostituì. Era molto intraprendente e oltre al pane faceva anche i grissini, le torte e i biscotti. Sostituì il miele con lo zucchero che era una novità per quei tempi e modificò l'antica ricetta dei pnün. Li faceva per i Corpi Santi, per altre feste e sovente anche lungo la settimana, quando sapeva che doveva passare qualche personaggio importante... di quì passavano tutti quelli che da Torino dovevano andare a Cuneo, Nizza, in Francia o nelle vallate dello Stura, Gesso, Vermenagna e altre (non c'era ancora la ferrovia). Anche i reali quando andavano a villeggiare, cacciare o fare le terme a S. Anna di Valdieri. Vittorio Emanuele non si fermò mai, se non fosse per i "barbis" (baffi) che spuntavano dalla carrozza nessuno se ne sarebbe accorto del passaggio. La Bella Rosin invece si fermava sempre... solo cinque minuti... il tempo di fare pipì dalla Contessa.

Giovanna, che, per via del mestiere sapeva i "pat d tuti" (affari di tutti), la mattina che passava la "morosa" del re faceva i Pnün e quando vedeva la carrozza fermarsi apriva le porte del forno e con il grembiule faceva aria in modo che il profumo arrivasse al naso degli occupanti: un valletto della madama correva a comprarli... furba eh!

Poi da una generazione all'altra la ricelta si è tramandata e, forse con la complicità di qualche servetta, altri panettieri la copiarono; però la vera la conoscevano solo i Colonna o i Martina... non so... perché è ancora oggi segreta. Quello nuovo, Massimo, l'ha acquisita da tutti e due quando hanno cessato l'attività; sicuramente le ha messe nel mortaio e pesta, pesta ne ha fatta una sola.

Qualche anziano dice che è quella di Colonna altri quella di Martina, non so... è segreta.

Sapessi quante questioni si sono risolte davanti ad un vassoio di queste paste: contratti di vendita, di affitto, fidanzamenti e matrimoni ecc... perché, vedi, vanno bene in tutte le occasioni e in tutte le ore del giorno, al mattino si possono consumare con il latte o il caffè, se arriva qualcuno a trovarti verso le 10 o le 11 puoi offrirli con un aperitivo, alla fine del pranzo si accompagnano con un buon vino rosso o si possono "pucciare" nel bicchiere del moscato. A merenda con il tè o con il caffè, dopo cena nelle veglie con tutto quello che vuoi... pensa che ho visto dei giovani che se li gustavano con la birra o con quelle bevande gassate moderne.

Quelli di Genola fanno le quaquare ma non son così... sai cosa sono le quaquare?." "Certamente" rispondo "sono i Maggiolini Melolonta-Melolonta." "Tu la sai lunga sulle "baboie" (insetti)" ribatte, poi fa una pausa e continua. "Sono sparite... una volta in primavera coprivano i salici e i pioppi... nel '24 facevo il segretario da Nota... ne raccolsi dei sacchi pieni... per le galline, scuotevo le piante e loro cadevano. I diserbi e i pesticidi li hanno fatti sparire; però ultimamente si avvelena molto di meno, sono ritornate le quaglie, le cicogne, i colombi "lave" (colombacci), le anatre selvati-che... fra qualche anno ritorneranno anche loro... ma io non le raccoglierò più.

Beh adesso vado a farmi due risate, la Borsa stà chiudendo vado a vedere le facce di quei poveri "cristi" che da miliardari sono diventati solo milionari per via dell'Euro. Davanti al monitor del borsino appena vedono il segno meno impallidiscono... poveracci".

Si alza lentamente, io lo incalzo: "Tu punti sui Bot vero?" "Non parlarmi di Bot" risponde voltandosi verso di me. " Un a volta ne presi un pacchetto e solo a pensarci mi fa male la testa... ero andato a fare un inventario in un pollaio."

"Ti avranno scambiato per un ladro?" "Come fai a saperlo?" dice mentre si aggiusta gli occhialoni sul naso. "Me lo raccontò una volta mio padre" rispondo. "Impossibile" incalza lui "era buio e sono scappato, nessuno mi ha riconosciuto" "Mio padre mi disse che alla prima randellata il bastone si ruppe... solo tu avevi una testa così dura." Ride scrollando la testa e da sotto i baffi appare una fila di denti bianchissimi; sicuramente gli hanno riadattato la dentiera di qualche attore. Chiudo l'enciclopedia e mi avvio verso casa...domani Massimo inonderà il paese di un dolce profumo e i Pnün avranno la loro storia.

Piasì... il piacere a forma di biscotto

Elena ed Elvis hanno cambiato vita con un progetto di forno e la riscoperta della ricetta tradizionale di un biscotto..i Pnün appunto. Visita

Levaldigi ed il portone del Diavolo di Torino

Seppure Levaldigi a molti risulterà una località sconosciuta, molti Torinesi probabilmente conoscono il nome della famiglia blasonata più in vista del paese e che ben presto ebbero un ruolo in società con tanto di palazzo a breve distanza da Piazza San Carlo a Torino. Si tratta dei Trucchi di Levaldigi appunto... noti soprattutto per il "portone del diavolo".

Costruito nel 1675, il fastoso portone è adornato con frutta, fiori e amorini. Al posto di un normale batacchio, però, si trova la faccia di un inquietante diavolo con due serpenti che si uniscono e formano la maniglia. Gli appassionati di esoterismo collegano la presenza del Portone del Diavolo con il fatto che, nel Seicento, il palazzo ospitava la Fabbrica dei Tarocchi; lo annoverano così come uno dei luoghi più legati alla magia nera a Torino. Una versione più fantasiosa vuole che il portone sia comparso dal nulla di notte, grazie ad uno stregone che invocò proprio Satana in persona, il quale, per dispetto, lo imprigionò per sempre all’interno del portone stesso.